Partiamo da una domanda: lo spettatore come partecipa a teatro?
Va detto: questo interrogativo potrebbe dare vita a un lungo approfondimento di cui non ci occuperemo in questa sede. Restringendo il campo alle esperienze teatrali che ho avuto modo di analizzare negli ultimi anni le modalità tramite le quali lo spettatore partecipa a teatro sono così diversificate, che questo “campo” è composto al suo interno da innumerevoli volti. Che spesso tendono a confondere indistintamente termini, espressioni e contenuti.
Vi sarà forse capitato di leggere, a proposito della partecipazione dello spettatore, di “teatro partecipativo”, oppure di “teatro interattivo”, o ancora di “teatro partecipato” (giusto per citarne alcuni). E di essere stati pervasi da una sensazione fisica che fa rima con capogiro. La domanda di SOS è immediata: questi termini descrivono tutti la stessa cosa?
Come risolvere questo enigma?
Lo dirò semplice semplice. Armarsi di un buon vocabolario e cercare la parolina magica “paradigma”.
Perché mettersi proprio sulle tracce di questo termine? Perché “paradigma” ci permette di poter osservare e analizzare da più vicino il frastagliato campo della partecipazione dello spettatore.
Detto in altre parole, il paradigma costituisce un modello attraverso il quale differenziare i volti della partecipazione, a seconda di alcune caratteristiche specifiche.
Teatro partecipativo, partecipato e interattivo altro non sono che diversi paradigmi.
Quindi per ritornare alla domanda di cui sopra: NO, i termini non descrivono affatto la stessa cosa e sarebbe consigliabile un loro utilizzo accurato e parsimonioso. Facciamoci coraggio e guardiamo in faccia la realtà: lo so, è spaventoso ma, ahimè, teatro partecipato e teatro partecipativo non sono sinonimi.
Ps. Suggerimento per la lettura: gustate lentamente una o più uova di cioccolato fondente mentre ascoltate in sottofondo, leggera leggera, la canzone “Amaro e’ ‘o bene” nella versione originale di Sergio Bruni (ma sentitevi liberi di ascoltare anche l’interpretazione di Mina).