Sì, avete letto bene. In questa pillola vi parlerò di uno degli incubi degli più temuti di sempre: l’essere vittima, in qualità di spettatori, dell’estrazione a sorteggio per partecipare, in vario modo, allo spettacolo.
Nessuna azione libera o volontaria, dunque, ma dettata esclusivamente dal sorteggio dei numeri delle poltroncine in cui siedono gli spettatori.
No, non siete piombati nel bel mezzo di una lotteria o di una tombolata organizzata all’ultimo tra amici (nulla contro le lotterie e le tombole che regalano sempre emozioni impreviste).
Mentre osservate lo spaesamento generale degli spettatori, non potete fare a meno di chiedervi: perché utilizzare il dispositivo del sorteggio per scegliere il tema dello spettacolo o per decidere chi dovrà salire sul palco per completare la scena in questione? Perché non lasciare allo spettatore la libera scelta di partecipare, se lo desidera e se lo ritiene opportuno?
Qui vengo alle mie riflessioni (e brevi conclusioni perché il discorso sarebbe ben più lungo e complesso).
Il sorteggio, come la scelta casuale, è uno strumento furbo e facile: furbo perché esime gli organizzatori/registi/conduttori dalla responsabilità drammaturgica con il risultato che qualsiasi cosa avvenga sarà frutto della sorte (parafrasando “eh sei stato sorteggiato, ti tocca!”); facile perché evita di esporre i registi al rischio che nessuno partecipi.
È infatti altamente più probabile che la maggior parte degli spettatori si esponga a una norma sancita dalla partitura dello spettacolo – anche se non gradita – che il suo contrario, ovvero che nessuno vi aderisca.
Allo stesso tempo il sorteggio, come la scelta casuale, rende tangibile che lo spettatore è sottoposto a un processo manipolatorio ricordando così uno dei diritti (oltre che doveri) fondamentali dello spettatore: opporsi, non partecipare, non salire sul palco. E semmai lo spettacolo cui si sta assistendo non fosse di suo gradimento, lo spettatore è sempre legittimato ad alzarsi e ad andarsene.
Ecco la conclusione, non esaustiva, cui giungo dopo questo rapido confronto con il dispositivo del sorteggio: in quanti compiamo realmente le azioni di cui sopra in qualità di spettatori? In quanti troviamo nell’opporci a una regola sancita dalla scena (o a una regola sociale) la necessità di riconsiderare il nostro ruolo (spettatore/attore sociale) e di criticare lo spettacolo a cui stiamo assistendo (o la situazione che stiamo vivendo)?
Suggerimento: accompagnate queste domande con in sottofondo “The age of machine” dei Greta Van Fleet.